Capire la Globalizzazione

G. Lafay, ed. Il Mulino, Bologna 1998

L'autore, docente all'Università di Parigi, sviluppa la sua riflessione sulla globalizzazione a partire dalla suddivisione dell'economia mondiale in tre grandi regioni: l'America, l'Eurafrica e l'Asia. L'analisi sui rapporti di forza economici tra le grandi aree, è sostenuta e confermata da tabelle e grafici utili a dimostrare quali sono le variabili che conducono ad una maggiore o minore ricchezza nelle tre macro regioni prese in esame. Egli sottolinea come il declino ad iniziare dal 1980 per l'America e dal 1986 per l'Eurafrica, due delle macro regioni da sempre considerate forti, abbia consolidato invece una crescita per la terza macro regione, quella asiatica. Tra le due macro regioni in difficoltà, la parte che ha subito un più vistoso crollo dal PIL è stata l'Africa. L'Autore poi fa anche una precisazione sul significato del PIL e su quali possono essere le cause possibili perché si creino quelle situazioni di estrema difficoltà in paesi con grandi difficoltà economiche.
Paragona poi le imprese alle nazioni: si internazionalizzano creando ricchezza e sapere attraverso il processo di globalizzazione continuamente accelerato dalla deregolamentazione del movimento dei capitali; sfruttano i vantaggi dei paesi destinatari degli investimenti oltre, ovviamente dei propri. Per l'Autore la visione di questi movimenti è legata al rapporto costo-convenienza pensando allo stato come lo strumento che ha il compito di creare le condizioni interessanti per gli investimenti di tutte le imprese. Sottolinea altresì, che gli scambi avvengono in tutti i settori, soprattutto tra capitali finanziari che sono di fatto la manifestazione più evidente della globalizzazione. Egli analizza poi il significato e l'influenza sulle economie dell'oscillazione e delle distorsioni dei tassi di cambio che vedono dominare le nazioni più forti.
Sviluppa poi tutta la problematica riguardante il lavoro e la sua continua trasformazione: mobilità, costo, competizione tra lavoratori dei paesi industrializzati con gli immigrati, con quelli dei paesi a più basso livello salariale. Il problema che emerge è la posizione sempre più difficile dei lavoratori dei paesi industrializzati con la possibilità, non remota di un continuo abbassamento del tenore di vita e con il rischio di crisi sociali molto forti. Sottolinea, altresì, la diversità dei trattamenti sociali: da una parte garantisti per i lavoratori, dall'altra liberali.
L'Autore muove anche una critica al liberismo indiscriminato perché questo rischia di cadere sotto la sua stessa efficacia; sottolinea le soluzioni provenienti da vari autori (liberismo, interno, estero o compressione dei salari?), condannando egli stesso la soluzione del liberismo estremo: esso andrebbe, di fatto, oltre che a ridurre la stabilità sociale dei lavoratori, anche il potere degli stati.
Auspica, in conclusione, che non si arrivi agli eccessi né di protezionismo statale che bloccherebbe la crescita economica, né di liberismo indiscriminato e tirannico che, attraverso i suoi meccanismi, crei delle situazioni imprevedibili di crisi.