Il lavoro che emerge

P.Donati, ed. Bollati Boringheri, Torino 2001

In una società complessa come la nostra il problema del lavoro, nelle sua varie accezioni, è centrale. L'autore cerca di fare una panoramica sulla situazione odierna dimostrando come esso manifesti tutta la sua incertezza. Lo stesso concetto di lavoro sta subendo continue modificazioni e la sua vecchia definizione di “utilità sociale” sembra essere scomparsa. Di fatto new work come new economy. Sembra quasi paradossale, all'aumento della ricchezza non corrisponde un uguale aumento del lavoro. Il motivo sembra assolutamente semplice: il progresso della tecnologia fa ridurre la quantità di lavoro disponibile penalizzando i contesti più arretrati del globo. Talvolta, scrive il nostro autore, si arriva a definire il lavoro come una sovrastruttura del sociale. E' mutato infatti il rapporto tra lavoro e agire sociale e sembra proprio che l'epoca moderna mostri con sempre più evidenza una colonizzazione dell'economia sul sociale e quindi la subalternità del valore del lavoro come concetto sociale rispetto all'economia.
Il riferimento alla globalizzazione in tale contesto è d'obbligo. Essa, secondo Donati, è causa di flessibilità e incertezza nei mercati del lavoro ed accentua quel disagio sociale che, nonostante le iniziative create per tentare di sanare situazioni drammatiche, emerge l'accettazione della disoccupazione come male incurabile. Il lavoro sarà destinato a mutare come valore e il lavoro sicuro e soddisfacente sarà sempre più raro. Il lavoro in futuro non mancherà, tende a sottolineare l'autore, ma dovrà radicalmente modificare la sua fisionomia e adeguarsi alle profonde trasformazioni sociale e culturali.
Donati fa anche una dettagliata storia della riflessione sul lavoro: da Aristotele a Tommaso, dal Medioevo all'Ottocento passando per i Padri della chiesa, il Concilio Vaticano II e la concezione protestante del lavoro.
La modernità lascia spazio di riflessione, comunque, tra un modello di lavoro tipicamente secolarizzato e il non facile tentativo di riumanizzarlo in una situazione complessa e sempre in mutazione.
Le modificazioni del lavoro, sempre più veloci e dirompenti, si possono classificare in tre grandi processi che il nostro autore cerca di elencare e spiegare con precisione: strutturale, culturale e dell'agire. I cambiamenti strutturali avvengono attraverso intrecci e interdipendenze tra ruoli lavorativi più autonomi che nel passato, ma nello stesso tempo più interconessi. L'aspetto culturale del cambiamento del lavoro crea differenziazione anche nei significati attribuiti al termine lavoro. Il terzo processo di modifica vede la diversificazione degli atteggiamenti e delle aspettative: dal lavoro autonomo a quello atipico, da quello più creativo a quello maggiormente equilibrato nel rapporto vita-lavoro. Il tempo da dedicare al lavoro dev'essere un tempo qualitativo e non solo quantitativo. L'autore sembra molto ottimista di fronte a quella che egli chiama una “nuova antropologia del lavoro”, che vede messe insieme sinergicamente le varie dimensioni del lavoro: da quella intellettuale a quella manuale e manageriale. Un lavoro orientato alla globalità della persona, egli afferma, che esige nuova contrattualità senza freni e senza derive. La domanda che ci si pone, però, è la seguente: ” L'umanizzazione del lavoro ha una priorità assoluta rispetto ad altri criteri nel nostro sistema di economia di mercato?”
L'autore percorre l'espressione “personalizzazione e umanizzazione del lavoro” ritenendole una reazione al capitalismo sottolineandone le ambiguità che emergono soprattutto se si fanno delle considerazioni dell'evoluzione che ha avuto il lavoro nella realtà post moderna: diffusione dei lavori atipici e meno tutelati, pluralismo equivoco dei significati di lavoro. Equivoci che scaturiscono dalle affermazioni che negano il valore strumentale del lavoro e invece ne rivendicano il valore sociale. Il lavoro, comunque, pone sempre seri a problemi nella sua necessità e nel suo valore, può orientarsi anche a valori ultimi che vanno oltre i suoi risultati. Qui sta, secondo Donati, l'umanizzazione e la personalizzazione del lavoro, legate ai fini, a chi agisce e ai valori in una visione etica e antropologica.
Donati non può non sottolineare anche l'importanza che il fenomeno della globalizzazione ha per il lavoro; cerca di evidenziarne l'importanza senza scadere nel pensiero negativo al quale spesso il fenomeno viene sottoposto.

Tuttavia egli contrappone un modello egemone di globalizzazione di tipo esclusivamente economico a un modello di tipo economico-sociale che riesca ad affrontare problemi legati al disagio, alla disoccupazione, alla difesa dell'ambiente. Ma dalla riflessione sulla globalizzazione, il nostro autore analizza chiaramente il significato del procedere del lavoro, che può essere letta come una definizione.
Egli afferma infatti, che “il lavoro diventa una condizione processuale a cui si deve pensare in termini di globalizzazione, ossia dal punto di vista della globalizzazione come referente relazionale inevitabile, affinché il lavoro possa diventare condizione di qualunque progetto economico e sociale”. Di fatto, la globalizzazione trasforma il concetto stesso di lavoro fin qui pensato.
E' evidente che i sistemi economici sono diversi e il lavoro vi si adegua trasformandosi e ritrasformandosi a seconda delle esigenze del sistema. L'autore prende in esame i sistemi economico-sociali a welfare mix nelle loro varie accezioni. Questi sistemi sono in grado di valorizzare il lavoro soprattutto in rapporto di coesione sociale e relazionale. Sistemi che generano lavori con diritti e doveri diversi dagli altri lavori. Essi tendono a valorizzare l'inclusione sociale e non sono un semplice adattamento ad altri sistemi (vedi Terzo settore). Pertanto c'è la necessità di nuovi attori, nuovi principi guida e nuove regole senza essere troppo legati allo Stato.
L'importanza del concetto di dono sottolineata dal nostro autore in questi nuovi modelli di economie, non può essere marginalizzato; fa parte della complessità del sistema in continua trasformazione. Un esempio molto importante di dono è quello del volontariato nella sua precaria e poco riconosciuta esistenza. Talvolta anche le imprese non profit non valorizzano il volontariato nel senso puro del termine relegandolo nella marginalità rispetto alle condizioni di professionalità che l'impresa richiede. C'è bisogno di rimuovere le incrostazione che si sono formato sul lavoro volontario anche nel terzo settore rivalutandolo attraverso una nuova cultura della relazione contro l'economicismo più esasperato. L'autore insiste molto sul concetto di lavoro giusto che emerge soprattutto da ciò che egli definisce come contratto di lavoro relazionale, parte integrante di un'economia di tipo relazionale, che non è un economia “altra” bensì all'interno del sistema capitalista. Nella rivalutazione del lavoro, Donati ne sottolinea la sua utilità sociale, e l'ottenimento di risorse per chi lo compie. Quindi, in questo contesto, si pensa ad una maggiore umanizzazione del lavoro.
Anche la disoccupazione è assolutamente correlata alla questione sociale del lavoro. Non è liberando il lavoro dalle condizioni soggettivistiche che si riduce o elimina la disoccupazione, bensì dalla sua rivisitazione “come relazione sociale, (…) essenziale per la vita umana senza cui non si dà società”.
Anche nella nostra società moderna ci sono varie lingue che interpretano il concetto di lavoro che, spesso, si accaniscono in una contrapposizione di tipo ideologico con ricette opposte per poter risolvere il problema del lavoro. Ma l'occasione storica è quella di far emergere nell'economia mondiale quella esigenza fondamentale che è la necessità di relazioni sociali. Passi timidi in questo senso sta facendo anche l'Unione Europea.