Le parole nella politica

Una riflessione in tempo di elezioni

Siamo inondati di parole. Spesso parole come pietre. Le parole sono quanto di più semplice e sofisticato gli uomini abbiano scoperto e inventato per rispondere all’innato bisogno di incontrare gli altri, di conoscerli, di stringere con loro alleanze. Sono ciò che differenziano tra loro gli esseri viventi. Gli esseri umani – nelle parole – descrivono, narrano, spiegano, rendono ragione, delle proprie azioni. Così possono costruire comunità e non solo branco.
Senza le parole non ci sarebbe la società. Non ci sarebbero state le società primordiali, né quelle semplici del passato, né quelle complesse di oggi. Senza le parole non ci sarebbero le leggi, non ci sarebbero le costituzioni, non ci sarebbero i contratti, non ci sarebbe la cooperazione. E senza le parole non ci sarebbe la politica, il cui compito principale è quello di comporre in modo sintetico la società. Arte nobile, la politica.
La politica ha nelle parole il più grande veicolo delle sue idee, delle sue proposte, delle sue intenzioni. Ha bisogno delle parole per rendere trasparenti le sue azioni. Non sarà un caso che il luogo della politica per eccellenza si chiama “parlamento”, quasi a dire “luogo dove si parla”. Dove chi governa può (anzi, nel nostro ordinamento “deve”) rendere trasparenti i propri programmi, i propri progetti e le proprie azioni. Solo se descritta, se raccontata, se giustificata, se trasparente, se operata nei limiti delle parole scritte delle leggi esistenti, l’azione di chi governa la cosa di tutti è legittima. Non desta sospetto, non è violenta, non è partigiana. E accompagnata dalle parole, l’azione di chi governa e amministra, non solo diviene legittima, ma in un certo qual modo, anche umana.
Ciò non significa che tutti debbano essere d’accordo. Che non possa, attraverso le parole (e solo attraverso quelle), instaurarsi una dialettica, un dibattito. Chi governa sceglie le sue politiche, le racconta e le sottopone al dibattito. Chi si oppone lo fa usando le parole, con forza, con vigore, nei limiti consentiti. Entrambi, sempre rivolti ad un bene superiore. Sottoponendosi, al momento opportuno, al giudizio dei cittadini.
La politica e la società dunque hanno bisogno delle parole e della dialettica. Ma tutto questo è sottoposto ad una condizione: che sia “custodita” la qualità delle parole e della dialettica politica. Non basta essere onesti, non basta agire nella legalità (oggi sarebbe già tanto), non basta essere generosi e dediti alla causa: è necessario custodire la qualità delle parole e della dialettica politica. Questo vale per ognuno che agisca nella società, quindi per tutti, se non si vuole distruggere il legame sociale. E vale in modo particolare per chi fa politica, per chi cioè si assume l’onore e l’onere di fare sintesi per e a nome di tutti, nella società, anche di chi la pensa diversamente.
Tra i tanti, due potrebbero essere indicati come gli indicatori fondamentali di un’alta qualità delle parole e della dialettica politica: la veridicità e il rispetto dell’interlocutore. La menzogna e la violenza delle parole, sono quanto di più dannoso oggi si possa immettere nella società per distruggerne la possibilità di sussistere. A chi è senza scrupoli, le parole false e violente danno l’ebbrezza di poter perseguire più rapidamente i propri scopi: ma alla lunga esse travolgono tutto, anche chi le pronuncia.
Da questo punto di vista, i nostri, non sembrano essere tempi felici… e quando arrivano le elezioni sembra essere ancora peggio. Ma è lecito coltivare la speranza che riusciremo a re-immettere qualità nelle parole e nella dialettica politica. Ciascuno lì dov’è, con il ruolo che ha. Ci ostiniamo infatti a pensare che il bisogno di stare insieme, di comunicare con gli altri e di fare società, negli esseri umani sia più forte dell’impulso ad eliderci a vicenda.